Carissimi amici,
In queste lunghe settimane di ritiro forzato sotto le finestre della mia stanza i rami degli alberi si sono rivestiti di foglie verdi, sui prati degli spalti delle mura venete è spuntato un mare di fiori colorati. La mattina, cori di uccellini mi danno la sveglia; quando apro le griglie si spalanca davanti a me la grande pianura lombarda, ai piedi di Bergamo Alta, limitata da un vasto orizzonte dove si indovinano bene le catene degli Appennini a sud e delle Alpi a ovest. In queste serate primaverili il cielo è terso, la luna e le stelle sono più luminose che mai.
Il tremendo virus sembra prendersi gioco di noi, continua a diffondersi e a seminare morte, paralizza strade e negozi, limita i movimenti e fa parlare di sé. Quasi incurante di tutto ciò, la natura intorno a noi sprizza vitalità da ogni parte, come a mostrare la sua forza delicata e tenace, capace di infondere fiducia e gioia.
Mi sembra di leggere nella bellezza della creazione una parola di incoraggiamento e di benedizione da parte di quel Dio che ha creato con sapienza l’universo e continua a sostenerlo con la sua provvidenza. In questi giorni mi è più facile pregare i Salmi che celebrano il Creatore, lo lodano perché «ha fatto i cieli con sapienza» (Sal 136), «getta come briciole la grandine… fa soffiare il vento e scorrono le acque» (Sal 147).
E così mi è venuta voglia di andare a rileggere qualche riga dove Angelo Roncalli contempla e prega davanti alla creazione. Le condivido volentieri con voi. Mi sembra un bel modo di tenerci in comunicazione e soprattutto in comunione, in attesa di riprendere presto gli incontri dei nostri Cenacoli.
Il profumo della primavera
La stagione primaverile è particolarmente cara a Roncalli: gli ricorda gli anni della giovinezza, luoghi e persone a lui care. Lo spiega così al parroco di Sotto il Monte, in una lettera del 24 giugno 1937: «Dopo tanti anni ho ancora l’impressione di quando salivamo sulla collina benedetta che sovrasta alle nostre case e lassù gustavamo il profumo della primavera in fiore e della estate già ricca dei suoi doni».
Egli osserva come la primavera sia annunciata dai primi germogli: «Anche qui la natura che in questo anno fu meno rigida durante l’inverno, comincia a mettere i fiori» (Lettera ai familiari del 10 aprile 1930). L’arrivo della primavera, con la ripresa dei lavori agricoli, è anche richiamo di forti esperienze spirituali, come quella benedettina, dove il monaco vive con equilibrio preghiera e lavoro: «Ricordai la primavera che s’avanza con le sue promesse di ogni ordine e di grazia. Ricordai S. Benedetto con il suo ora et labora» (Agenda, 21 marzo 1953).
In Roncalli, ormai abituato a vivere in città, affiora talvolta una punta di nostalgia per i ritmi lenti e ordinati della vita contadina: «Credetelo che viver in campagna nel lavoro al sole, secondando il movimento della natura nelle varie stagioni, è ancora la vita più bella» (Lettera ai nipoti del 27 gennaio 1952).
In primavera la sua attenzione è attratta spesso dai colori vivaci dei fiori, quasi cammei che impreziosiscono strade spesso impolverate. Li osserva, per esempio, di ritorno a Istanbul, l’8 maggio 1937, dopo una lunga escursione che lo ha portato fino a 2.400 metri di altitudine, sul monte Huludag: «In auto sino a Mudania attraverso una campagna bellissima; costeggiamo il mare fino a Trilia dove vediamo le interessanti rovine di quel monastero. Oh! che bella strada smaltata sui margini dei più bei fiori di primavera». Tale esuberanza di forme e colori annuncia la bellezza del Paradiso: «Prosegue il viaggio. Paradiso terrestre in primavera un’orgia di fiori incomparabile». Nel maggio 1936, visitando l’isola del Monte Athos, da molti secoli patria dei monaci orientali, Roncalli descrive una natura che con i suoi colori forti e i profumi intensi favorisce l’estasi: «Natura bellissima, folta vegetazione, profumi e colori di primavera. In cima al monte, spettacolo magnifico: conca di smeraldo trapunto di bellissime costruzioni. Si parte a cavallo: brutta strada ma un paesaggio incantevole (Agenda, 17 maggio 1936).
Il libro della natura
Roncalli prega spesso all’aperto: «L’aria del giardino mi nutre e mi allieta. Bello camminare fra le aiuole recitando l’ufficio o leggendo o meditando!» (Agenda, 6 luglio 1939). Mentre lo sguardo si posa sulla natura, la sua anima è come attirata alla contemplazione delle realtà celesti: «A sera potei dire il mio ufficio in giardino. Si direbbe che la preghiera viene meglio, più effusa e confidente, innanzi allo spettacolo della natura» (Agenda, 21 ottobre 1940).
Egli sa trovare squarci di poesia anche affacciandosi alla finestra di casa sua, nel piccolo paese natio di Sotto il Monte: «Giornata di vento al mattino dopo una notte burrascosa. Poche volte mi apparve la serenità e la bellezza del mio colle, e di tutto l’orizzonte di qua come oggi. Non mi stancavo dal guardare e da rimirare dalle mie finestre. Oh! che spettacolo! L’Appennino in fondo con il Penice dove sta Bobbio, e tutta la pianura Padana trapuntata di villaggi e di chiese: il duomo di Milano e le Alpi Cozie. Volli salire sino a S. Giovanni contemplare meglio tutto in giro. Visione indimenticabile» (Agenda, 16 settembre 1950).
Egli definisce il creato in termini molto belli come «libro della natura» le cui pagine illustrano la «bellezza e la gloria del Creatore»: «In faccia al libro della natura, che si dispiega in pagine di tanta bellezza e gloria del Creatore, niente è più confortante per un cuore di vescovo che sapere come sullo spirito della futura generazione, nelle famiglie che saranno la gloria della Venezia di domani, passi sempre vivida e corroborante la ricerca e la conoscenza del Signore e della dottrina che lo ha come punto di adorazione sopra tutte le creature. Si godano i cari figlioli tutta la bellezza del creato, a irrobustimento fisico» (Messaggio del 20 luglio 1955).
In queste parole si condensano concetti importanti, cari alla tradizione cristiana ma non sempre valorizzati in modo adeguato. L’espressione “libro della natura” fa riferimento alla prima rivelazione di Dio nella creazione, che si compie nel “secondo” libro, quello della Sacra Scrittura, nella quale il Signore rivela il suo progetto nella storia della salvezza, al cui vertice c’è Gesù Cristo. Chi “legge” con attenzione il “libro della natura”, vi può riconoscere le tracce del suo Autore, come ricorda già la Bibbia: «Dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro autore» (Sap 13,5). Questa metafora dei “due libri”, della natura e della Scrittura, utilizzata già dai Padri della Chiesa che Roncalli ben conosce, consente di valorizzare appieno il creato.
Nell’enciclica Pacem in Terris Giovanni XXIII offre una conferma importante di questa “vocazione” della natura a trasmettere la “voce del Creatore”. Riprendendo le parole del Salmo 104,24 egli scrive: «“Quanto sono grandi le opere tue, o Signore! Tu hai fatto ogni cosa con sapienza” […]. Ogni opera di Dio è pure un riflesso della sua infinita sapienza: riflesso tanto più luminoso quanto più l’opera è posta in alto nella scala delle perfezioni».
Certo, per ascoltare la “voce di Dio” nel creato occorre porsi di fronte ad esso con umiltà, spogliandosi di ogni pretesa di autosufficienza, aprirsi per accogliere una rivelazione divina.
Poiché nella natura si rivela lo stesso Dio di cui parlano le Sacre Scritture, chi lo contempla può trovare in essa un aiuto per cercare Colui che è il Signore del cielo e della terra, il Creatore di ogni essere vivente. Il creato non è soltanto la cornice esterna, il palcoscenico sul quale si svolge l’opera della salvezza; la stessa creazione è già parte di quest’opera, perché manifesta l’amore provvidenziale di Dio che ha fatto il mondo come un giardino per donarlo all’uomo, affinché se ne prenda cura. Pertanto Giovanni XXIII invita tutti gli uomini di buona volontà e soprattutto i suoi figli a riconoscere nel creato la presenza di Dio, «fonte di ogni sapienza e di ogni bellezza».
Nel dramma della creazione l’invito a fidarsi della Provvidenza
Non si deve scambiare l’atteggiamento positivo di Roncalli di fronte al creato con un’ingenua visione arcadica. Talvolta la natura mostra anche il suo volto duro, di matrigna, soprattutto in occasione di sciagure come terremoti e alluvioni e carestie e pandemie, molte delle quali sono spesso provocate o favorite dall’azione insipiente e devastatrice dell’uomo. A tale riguardo Roncalli ha purtroppo accumulato esperienze variegate e dolorose, che lo toccano da vicino perché spesso riguardano i propri congiunti o le popolazioni presso le quali esercita il suo servizio ecclesiale. Benché lontano per motivi di ministero, esprime in modo accorato il suo dispiacere ai familiari per la siccità che mette in pericolo i raccolti: «Nelle vostre lettere sento che non vi mancano i fastidi, per la siccità, ecc.» (Lettera alla famiglia del 10 gennaio 1922). Non nasconde la sua sofferenza alla notizia che condizioni meteorologiche avverse portano in casa fame e miseria: «Mi fa pena ciò che il nostro caro padre mi fa osservare, cioè che con questo freddo e con altri fastidi durante questi mesi in casa c’è la miseria» (Lettera alle sorelle del 19 febbraio 1922).
In Bulgaria, in occasione del violento terremoto che nell’aprile del 1928 devasta il sud del Paese e sconvolge la vita di migliaia di persone, Roncalli condivide lo spavento e la paura per un evento che gli fanno toccare con mano quanto la vita sia precaria: «Disgraziatamente le piogge continue hanno reso straordinariamente penoso il vivere a tanti poveretti che non hanno ancora coraggio di rientrare nelle loro case pericolanti, e quindi passano i giorni e le notti all’aria aperta sotto l’acqua, aspettando che vengano costruire le baracche di legno dove troveranno un rifugio. Pensate a tanti vecchi, a tante povere mamme che in questi giorni ebbero bambini e non sapevano come ripararli dal freddo, dalla pioggia e dal fango. È loro mancata anche la grotta di Betlemme» (Lettera alle sorelle del 26 aprile 1928). Durante gli anni in cui è nunzio apostolico a Parigi, è testimone di alcune tragedie che sconvolgono la terra francese: «Domani mi reco in Alsazia Lorena per visitare le rovine delle recenti alluvioni» (Lettera alle sorelle del 6 gennaio 1948).
Nelle situazioni dove la natura sembra ribellarsi al suo Creatore, Roncalli invita i suoi interlocutori a non cedere alla sfiducia e al pessimismo; li esorta invece ad affidarsi al Signore additando loro l’esempio biblico di Giobbe, uomo paziente e pieno di fede: «Tornato da un giro nella Bulgaria del Sud le sorelle mi raccontano i vostri guai in seguito alla tempesta. Pazienza. Bisogna imitare Giobbe nei giorni della prosperità e in quelli della disgrazia. Siamo sempre in buone mani» (Lettera ai genitori del 4 giugno 1934). Nelle sue pagine ricorre continuamente l’invito a mantenere salda la fiducia in Dio, rifugio sicuro anche nei flagelli più terribili: «a flagello terremotus, libera nos Domine». Di fronte agli sconvolgimenti della natura, l’uomo di fede si affida alla preghiera, sicuro di trovare un rifugio sicuro nel Dio creatore del cielo e della terra.
Un abbraccio a tutti. A presto. dEzio