Incontro di studio con il prof. Jörg Ernesti (Università di Augsburg)
11 aprile 2019 – Università degli Studi di Bergamo S. Agostino, aula 5
Alcuni discorsi pronunciati nei mesi successivi alle proteste di maggio del 1968 aiutano a capire l’atteggiamento di Paolo VI rispetto agli anni della contestazione.
Per esempio, il 15 gennaio 1969, il pontefice diceva: «L’età nostra segna una stagione storica di grandi cambiamenti e di profondo rinnovamento, che toccano ogni forma di vita: il pensiero, il costume, la cultura, le leggi, il tenore economico e domestico, i rapporti umani, la coscienza individuale e collettiva, la società intera». Montini poi specificava che «l’attuale generazione è come inebriata da questa mutazione», notando in questa voglia di cambiamento «segni di impazienza e di intolleranza». L’esaltazione della novità fine a se stessa portava a dimenticare il passato e ad abbandonare la tradizione: «Così si parla sempre di rivoluzione, così si solleva in ogni campo la contestazione, senza spesso che ne sia giustificato né il motivo, né lo scopo».
Rivolgendosi ai fedeli il 10 settembre dello stesso anno, Paolo VI riconosceva però «il fondo di bontà che c’è in ogni cuore; conosciamo i motivi di giustizia, di verità, di autenticità, di rinnovamento, che sono alla radice di certe contestazioni, anche quando queste sono eccessive, ingiustificate e quindi riprovevoli», soprattutto «quelle dei giovani partono per lo più da reazioni e da aspirazioni che meritano considerazione e obbligano a rettificare il giudizio dell’etica sociale, viziato da abusi inveterati e al giorno d’oggi insostenibili».
Leggendo queste e altre prese di posizione, si comprende come la riflessione di Paolo VI sia stata meditata e articolata. Da un lato egli cercava di valorizzare le giuste istanze di cambiamento, nella società e nella Chiesa, dall’altro si premurava di sottolineare come il processo di riforma non dovesse mai sfociare nel rigetto totale della tradizione o assumere forme violente. Le sue parole non sono mai dure o intransigenti, ma partecipi e a volte sofferte. Il rapporto fra cattolici e ’68 risente delle aperture e dei temi del Concilio Vaticano II: l’aspirazione all’uguaglianza e alla giustizia, la messa in discussione di modelli autoritari e la richiesta di una partecipazione comunitaria, la condivisione con i poveri e gli emarginati, l’apertura verso il Terzo mondo. Sulla scia del Concilio, si invocava una Chiesa che seguisse il modello delle Beatitudini, una Chiesa che stesse dalla parte dei poveri, degli oppressi e dei perseguitati.
Questo multiforme e complesso processo non ebbe come esito immediato l’allontanamento dalla fede o da modelli di vita cristiani, anzi la spinta propulsiva era proprio il desiderio di un radicamento reale nel Vangelo e nella distanza dal potere. Certo, questi fermenti portarono pure a numerosi eccessi, che fecero preoccupare Montini.